Il mito di Teseo


 

Vuole così la leggenda che il Minotauro venisse rinchiuso nel labirinto e che ogni anno sette giovani e sette fanciulle ateniesi (che erano stati vinti dal re di Creta) venissero sacrificati al Minotauro per saziare la sua fame di carne umana.
All’approssimarsi della quarta scadenza, la nave che doveva trasportare le giovani vittime era già pronta nel porto quando Teseo, figlio del re Egeo, sentì nascere nell’animo un irrefrenabile sentimento di ribellione e, rivolgendosi a suo padre, disse:
– Non posso permettere che sulla mia patria incomba un simile flagello. Partirò anch’io con quei giovani e andrò a Creta per uccidere il mostro.
Il padre, disperato, lo pregò di desistere dall’assurda impresa, ma inutilmente. Allora Egeo consegnò al nocchiero un nero vessillo da mettere sull’albero più alto della nave.
– Se mio figlio tornerà vincitore, al posto di questa bandiera alzane una bianca come la neve. Io la vedrò da lontano e potrò assaporare prima la gioia del suo ritorno. In caso contrario, lascia sventolare il nero vessillo che mi annuncerà la sua morte.
La nave dalle vele nere si mosse sospinta da venti favorevoli e giunse a Creta dove una gran folla attendeva le vittime. Appena sbarcati, i prigionieri si recarono alla reggia di Minosse; dove parteciparono a un grande banchetto, ultima gioia cui avevano diritto prima di essere sacrificati.
Durante la festa Arianna, la giovane figlia del re, colpita dalla bellezza e dalla fierezza di Teseo, non riusciva a darsi pace. «Non voglio che un giovane bello e audace come lui sia vittima di un tale destino» pensava. Volle aiutarlo e, senza che nessuno potesse accorgersene, diede a Teseo una spada avvelenata e un gomitolo di filo.
Il Minotauro aveva la sua dimora maledetta nel Labirinto di Cnosso, un edificio con un complesso di stanze e corridoi che si intersecavano, salivano e discendevano formando una rete così intricata e fitta di giri da non trovare modo di uscirne, una volta entrati.
L’indomani, quando sui monti bianchi dell’isola apparvero i primi chiarori dell’alba, le vittime penetrarono nel Labirinto; Teseo con la spada in pugno era alla loro testa.
Seguendo i consigli di Arianna, legò un capo del filo all’entrata dell’edificio e, man mano che procedeva, srotolava il gomitolo che teneva ben stretto nella mano sinistra. Il filo d’oro luccicava nei corridoi silenziosi e bui. Il giovane eroe avanzava, sicuro di ritrovare senza fatica la via d’uscita.
Giunto nel mezzo del Labirinto, il mostro si rivelò in tutta la sua bruttezza: un uomo con la testa e il collo di toro e con le fauci enormemente spalancate. Il Minotauro si lanciò subito contro di loro. Teseo agilissimo gli si accostò: la lotta fu furiosa ma alla fine l’eroe lo colpì nel punto del petto ove si vedeva palpitare il cuore. Il mostro emise un lungo gemito, poi si abbatté pesantemente al suolo colpito a morte. I giovinetti guardarono con riconoscenza il figlio di Egeo e, guidati dal luccichio del filo di Arianna, ritrovarono l’uscita senza difficoltà.
Liberi e vittoriosi si recarono al porto e salirono a bordo. Sul ponte della nave intrecciarono danze, fecero sentire i loro allegri canti. Ma commisero una grave dimenticanza. Nessuno, nemmeno il nocchiero, pensò a sostituire la bandiera bianca al nero vessillo che ancora sventolava sull’albero più alto della nave.
Egeo, il vecchio re che fin dal giorno della partenza spiava il ritorno del figlio da uno scoglio altissimo, colse nel nero vessillo un triste presagio: il figliuolo era morto nell’impresa troppo audace. Non seppe resistere al dolore e, prima che la nave entrasse nel porto, spiccò un salto dallo scoglio precipitando nel profondo di quel mare che, in seguito al triste evento, prese da lui il nome di Egeo.